martedì 19 febbraio 2013

Il bambino fatto di lacrime


C’era una volta una donna che sembrava una ragazza.
Glielo dicevano tutti: “Va là che sembri una ragazza!”, oppure “Di che ti lamenti che tanto sembri ancora una ragazza?”. Quindi potrei dire, per cominciare questa storia: c’era una volta una ragazza. Non lo dico però, perché sarebbe una bugia e la ragazza, opps, la donna, si arrabbierebbe. Mi direbbe: “Ho fatto tanta fatica per crescere che di forza non ne ho più, finalmente sono quello che dovevo essere, per quanto poco sia, e nessuno se ne accorge”.
La donna, però, era da parecchio che aveva smesso di arrabbiarsi per quello che dicevano gli altri, anzi gli altri, tutti gli altri, le passavano davanti agli occhi senza che lei neppure li vedesse, perché era molto occupata.
Era occupata ad essere triste.
Era talmente triste che il mondo tutto intero era sparito dai suoi occhi. Era rimasta sola in uno spazio bianco.
Questa sua tristezza la faceva piangere e piangere come una fontana.
Era diventato un bel problema, una cosa per cui prendere dei provvedimenti.
Portava sempre l’impermeabile anche dentro casa quando non doveva uscire, per non bagnare continuamente i vestiti e doversi cambiare; aveva trovato il sistema di mettere bacinelle e stracci in ogni stanza della casa con cui asciugare il pavimento e teneva sempre a portata di mano fazzoletti e asciugamani.
Vivere insieme a tutte queste lacrime era piuttosto complicato oltre che faticoso. Sì perché quando ad esempio nei film, si vedono le persone piangere, di solito una lacrima trasparente scorre sulle loro guance, gli occhi al massimo si arrossano un poco, loro si asciugano contegnosamente e la cosa risulta molto commovente ed educata.
Invece piangere nella realtà è molto più faticoso e risulta anche più spiacevole da vedere. Bisogna soffiarsi continuamente il naso. Nessuno studio clinico, che io sappia, si è mai occupato della schifosa relazione che intercorre tra le lacrime degli occhi e il muco del naso.
Comunque.
Passava il tempo ma la donna non smetteva di piangere.
Tutti le dicevano. “Ma dai smettila, che vuoi che sia, le cose passano e passeranno anche per te, piantala un po’, fai un corso di ceramica, di bricolage, di decoupage, di alta pasticceria, iscriviti a Master Chef, a X Factor, scrivi un libro di ricette, di racconti, di barzellette, candidati alle elezioni, impara a ricamare!”
Ma niente, la donna non smetteva.
Passavano i giorni e anche i mesi.
Un giorno dopo l’altro, un mese dopo l’altro. Passò l’estate, venne l’autunno, Natale passò e se ne andò, stava quasi per tornare la primavera.
Passarono nove mesi.
Una mattina, svegliandosi, la donna trovò accanto al suo letto una piccola culla con dentro un bambino.
Era un bambino bellissimo, sembrava fatto di luce, sembrava fatto di vetro.
Aveva gli occhi luminosi e il sorriso di un bambino che sorride. Era fatto di lacrime.
Il bambino la guardava.
“E tu chi diavolo sei?” gli disse la donna, “come ci sei arrivato qui, accanto al mio letto?”
“Mi ha fatto tu con tutte le lacrime che hai versato in questi mesi.”
Il bambino saltò giù dalla culla, e fece due passi per la stanza.
“Perché piangi tanto? I vicini si saranno lamentati, gli avrai fatto le macchie sul soffitto.”
Era pure spiritoso.
“Piango perché ho perso la persona della mia vita” rispose lei.
“Lo sapevo, ho chiesto solo per fare conversazione” disse lui.
Era pure un po’ stronzo.
Bellino, fatto d’acqua, sorridente, ma un po’ stronzo.
“E hai intenzione di rimanere qui?”
“No, sono venuto per te. Fatti bella, io ti aspetto qui.”
La donna se ne andò nel bagno, si lavò con cura, si pettinò e si truccò, era bella nonostante gli occhi fossero stanchi dal troppo pianto. Si vestì, indossò un vestito e tutti i gioielli e gli anelli che le aveva regalato la sua persona.
“Sono pronta”, disse.
Il bambino le sorrise e le prese la mano, le disse: “Andiamo, vieni con me”.
Aprì la finestra.
Fuori l’aria era azzurra, il cielo limpido e freddo, ripulito dal vento del nord che soffiava piano, era un giorno ideale per i pescibanana.

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